Il mistico oscuro che sfidò la morte e cambiò il destino di un impero

Nato nel 1869 nel remoto villaggio siberiano di Pokrovskoe, Grigorij Efimovič Rasputin fu fin da giovane un'anomalia vivente. Il suo nome, che alcuni traducono come “il dissoluto”, sembra scritto dal destino stesso. Iniziò un lungo pellegrinaggio per i territori dell’impero russo alla ricerca di risposte spirituali, ma ben presto divenne noto per i suoi poteri insoliti. Rasputin affermava di poter guarire, di sentire la voce di Dio, e la sua fama lo precedeva ovunque andasse. Era venerato da alcuni come un santo, temuto da altri come un profeta impuro.

Fu proprio la sua reputazione a condurlo alla corte imperiale, in un periodo delicatissimo per la Russia. Il giovane erede al trono, lo zarevic Alessio, era affetto da emofilia, una malattia incurabile all’epoca. Quando ogni altra speranza sembrava vana, fu Rasputin a intervenire. Nonostante non avesse alcuna formazione medica, riuscì misteriosamente a lenire le sofferenze del bambino. Alcuni parlarono di autosuggestione, altri di preghiere potenti o di trance ipnotiche. La zarina Alessandra lo vide come un inviato di Dio, e da quel momento Rasputin divenne una figura fissa a corte.

La sua influenza divenne crescente, tanto da spingersi fino alle decisioni politiche. Rasputin, senza alcun titolo ufficiale, era consultato su questioni di Stato, generando scandalo e panico tra l’aristocrazia. Eppure, la sua presenza era al tempo stesso oscura e carismatica, impossibile da ignorare.

Seduttore, veggente o demone? I mille volti del “monaco nero”

Rasputin non era solo consigliere e guaritore. Secondo molte voci, era anche un seduttore spregiudicato, capace di ammaliare donne nobili e semplici contadine con la sola intensità dello sguardo. Si raccontava che avesse una forte influenza sulle dame di corte, e persino che alcune lo ritenessero un martire vivente o una reincarnazione divina. Altri, invece, lo consideravano un demonio sotto mentite spoglie. I suoi comportamenti eccentrici, l’aspetto trascurato, gli occhi magnetici e le notti passate tra canti mistici e piaceri carnali lo resero una figura che travalicava il senso comune.

Il popolo e la stampa iniziarono a mormorare. Chi era davvero Rasputin? Un uomo santo? Un manipolatore? Un prestigiatore con conoscenze occulte? Le sue capacità restavano inspiegabili, ma ciò che spaventava davvero era la sua invulnerabilità apparente. Sembrava intoccabile, immortale.

Nel dicembre del 1916, un gruppo di nobili decise di porre fine al suo potere. Organizzarono un piano dettagliato per ucciderlo. Secondo i resoconti più diffusi, gli offrirono vino e pasticcini avvelenati al cianuro, ma Rasputin non morì. Gli spararono più volte, ma continuò a muoversi. Quando infine lo gettarono nel fiume Neva, si dice che il suo corpo mostrasse segni di lotta: avrebbe tentato di rompere il ghiaccio dall’interno. Morì solo dopo una lunga agonia, come se perfino la morte avesse esitato davanti a lui.

La sua fine segnò simbolicamente il tramonto della dinastia Romanov. Poco tempo dopo, l’impero crollò sotto il peso della guerra, delle rivolte popolari e dell’incapacità politica. Alcuni videro nella morte di Rasputin un presagio, altri una vendetta del cielo. Ma tutti, anche i più scettici, riconobbero che quel “monaco nero” aveva lasciato un’ombra indelebile sulla storia.

Oggi, Rasputin resta uno dei personaggi più misteriosi e discussi del XX secolo. Alcuni lo ricordano come un opportunista crudele, altri come un guaritore perseguitato. La sua figura si colloca in quel confine sfumato tra storia e leggenda, tra luce e oscurità, tra uomo e mito.

MARIO CONTINO